Si è conclusa a Sermoneta la “nuova” stagione del campus musica scrittura teatro

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castello-sermonetaSi è conclusa la  “magica” stagione del Campus (51° anno), al Castello di Sermoneta, facendo registrare un ragguardevole successo (il 2 agosto, all’Abbazia di Fossanova, un “bis” col portentoso duo F. Von Arx,  violino, e Roberto Prosseda, pianoforte). Abbiamo avuto il piacere e l’onore di “introdurre” questa edizione all’insegna di Aldo Manuzio, sottolineando il “correlativo oggettivo” tra libro-stampa e musica, humanitas (cultura) e musica, humanitas e Campus etc. Chi conosce Montale sa bene che cosa egli intenda per “correlativo oggettivo”: l’osso di seppia, di per sé, è quel che è, per il poeta evoca, correlativamente, una durezza altra e cioè un concetto similare. Nel nostro caso, il libro –l’oggetto- corrisponde (si riferisce) idealmente alla musica senza per questo coincidere (concretamente) con essa. Il nuovo corso intrapreso dal Campus, sempre nel solco della inossidabile e proficua tradizione, ha inteso compiere una salutevole “dissacrazione”, per meglio dire una irrinunciabile innovazione e commistione di generi, affiancando o integrando la “sostenuta” leggerezza della musica classica o colta alla/con la non effimera leggerezza della musica cosiddetta popolare (leggera). Non solo, ma anche con intermezzi performativi, dunque, teatrali in forma di lettura interpretativa di testi drammaturgici e non, eseguita da attori di comprovato mestiere. Per l’occasione, dall’attrice Clara Galante, un’eccellenza della nostra città, che da anni calca le scene con indiscutibile successo e convinti, unanimi apprezzamenti di critica e di pubblico. Ha lavorato con registi famosi tra i quali F. Tiezzi, Bellocchio, M. Missiroli, G. Albertazzi; “traffica” con disinvoltura e consumato mestiere con la musica ed il canto.  Nel 2011, a Seoul, è stata protagonista dell’opera “The Mission” di Ennio e Andrea Morricone. Ha interpretato il melologo “Medea”, di J. A. Benda dove le emozioni fissate dalla parola esplodono libere e ancor più incisive in virtù della musica.  La presenza di un attore, quindi, del teatro in un contesto di musica sinfonica non è certo una novità; sicuramente, in tempi più moderni, un valore aggiunto. Memorabile e sconvolgente fu l’ “irruzione” del teatro nella musica sinfonica ad opera di Carmelo Bene, con il “Manfred” di Byron (tradotto dallo stesso Bene), musiche di scena di Schumann eseguite dall’Orchestra di S.Cecilia e la partecipazione dell’attrice Lydia Mancinelli. Accadeva alla Basilica di Massenzio, nel luglio del 1979. “Il piacere della musica è più affascinante” – disse Bene- “Ma ho scoperto che in questo mondo domina la prosa”. La musica, insomma, ha bisogno della parola, non solo, ma ha anche bisogno di convivere con il teatro, e non è certo il caso di citare innumerevoli esempi tra i quali Beethoven (il “Fidelio”). L’operazione compiuta da Carmelo Bene è esemplare trattandosi di un poema (letterario) trasformato in poema sinfonico, una combinazione perfetta di prosa e musica: l’attore ha messo la voce al servizio della musica facendone uno strumento tra gli strumenti . Clara Galante ha letto un brano da  “Una stanza tutta per sé” di Virginia Woolf. Si tratta di un saggio per due conferenze in un College femminile, Univ. di Cambridge (1928-29). Un pretesto per affermare l’esigenza e la necessità storica della emancipazione femminile di cui la Woolf è una delle più agguerrite ed intelligenti antesignane ed alfieri. Un viaggio compiuto nel silenzio delle stanze domestiche, dove la donna con la D maiuscola può rivendicare la sua libertà mediante la scrittura. La Woolf affermava che “una donna [per essere libera] deve avere soldi ed una stanza tutta per sé per poter scrivere”. La scelta della Galante ci è parsa perfettamente il linea con  lo spirito che ha animato la stagione del Campus di quest’anno. E’ risaputo che la Woolf aveva una mente ed una tendenza androgine (maschile-femminile) atta a garantire, secondo il suo punto di vista, l’obiettività. Con una voluta forzatura, potremmo riscontrare una analoga ambivalenza sia nella prosa sia nella musica (prosaico-musicale) e, perciò, la “obiettività”, per così dire, dell’approccio e della fruizione senza fraintendimenti di sorta. Peraltro, il brano proposto, oggi, suona come un grido d’accusa  contro l’inconcepibile massacro, oserei dire lo sterminio della donna per mano dell’uomo. Che dire dell’altro protagonista della serata, Roberto Prosseda ? Dire che è un’eccellenza è scontato. Personalmente, questo risultava già ai tempi del liceo (Classico), alunno esemplare per intelligenza, rigore di studio, cultura. Già allora sapevamo del suo corso di studi musicali e delle sue pre-mature esibizioni. Un pianista ed un interprete di classe, un fuori classe. Un artista vero, che ha concepito lo studio nel senso più nobile. Di lui si conoscono la discografia, i successi internazionali, le incisioni impeccabili. Una per tutte, citiamo la stupefacente “scoperta” ed edizione critica di un Mendelssohn misconosciuto (Felix Mendelssohn Bartoldy che, peraltro, da poliglotta quale era, ha tradotto in tedesco Byron, già che l’abbiamo citato): Mendelssohn Rarities (Decca 2005), 4 sonate, 3 studi, 2fughe, composte nel 1820 –aveva 11 anni!-; Mendelssohn Discoveries (Decca, 2005), brani composti tra il 1823 e 1830.  Si è esibito nei più importanti teatri e sale di Concerti europei ed extraeuropei. Lontani dal fare paragoni imparagonabili, il suo Chopin (Decca, 2007), a nostro avviso, può competere con quello di Pollini, ovviamente con la dovuta umiltà nei confronti dell’insuperabile Maestro (bellissimo il Notturno eseguito per il bis). Roberto Prosseda è un vero talento, che ha già dato i suoi frutti migliori, destinato a darne altri ancora più sorprendenti e, data la giovane età, ancor più maturi. Con il complesso d’archi della Camerata du Léman, ha eseguito il Concerto n° 5 di Beethoven, detto “Imperatore”, dedicato all’arciduca Rodolfo Giovanni d’Asburgo, Sua Altezza Imperiale, composto nel 1809-10, in tre movimenti: Allegro, Adagio un po’ mosso, Rondò: Allegro. Il concerto è stato proposto in forma cameristica, nella trascrizione eseguita da Lackner per quintetto d’archi, col raddoppiamento delle parti (i componenti della Camerata sono 16).Variegato nella sua complessità, dà modo al pianista di permettersi qualche impennata virtuosistica (l’attacco) ma, soprattutto, di sottolinearne la morbida cantabilità ed una straordinaria dolcezza (l’Adagio). Inconsueta ed interessante la versione proposta, inappuntabili i violini e i violoncelli, straordinaria l’esecuzione e l’interpretazione di Prosseda. Ci piace pensare ad una sorta di affinità elettiva tra lui, persona di ammirevole umiltà intellettuale, e Beethoven il cui genio fu adeguato all’umanità dell’individuo tanto da essere considerato “l’amico di tutti coloro che soffrono”. Fu lui a dire che Cristo era stato (con Socrate) il suo più alto modello. Molto belle le sue lettere. Per quanto dicesse di saper scrivere solo le note musicali, è pur vero che la scrittura dei grandi geni della musica integra e rafforza quanto scritto ed espresso in musica. Le lettere permettono, infatti, di conoscere più a fondo l’Uomo Beethoven. Riportiamo uno stralcio da una lettera indirizzata all’Arciduca Rodolfo D’Asburgo, datata 1819.

“…Non esiste nessun bene senza sacrificio e proprio l’uomo migliore e più nobile sembra destinato a ciò più degli altri, affinché la sua virtù sia provata […]. Ho dato da copiare poco tempo fa le perfette variazioni di V.  A. I. , ho notato qualche piccolo errore, ma devo dire al mio augusto allievo che ‘La musica merita essere studiata’ […]. Unisco le sonate ringraziando profondamente, manca ancora la parte del violoncello che non ho trovato subito. La stampa è bella e mi sono permesso di aggiungere un esemplare stampato ed un quintetto per violino […]. Chiedo scusa per la mia lettera, pregando il Signore di concedere abbondanti benedizioni a V. A. I.; il nuovo compito di V. A. I. che ama tanto gli uomini è uno dei più grandi, e V. A. I. sarà sempre umanamente e spiritualmente il più bel’esempio in questo campo”. Avrete notato le coincidenze – il “correlativo oggettivo”- : musica, scrittura, stampa/Manuzio, gli esempi e le espressioni più alte della humanitas-cultura. Anche in questo Beethoven è molto chiaro ed “udibile”! 

Giorgio Maulucci

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